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Nel contesto italiano, caratterizzato anche dalla presenza dei fondi pensione privati, il sistema pensionistico pubblico rappresenta uno dei pilastri del welfare, che per molti decenni è stato in grado di permettere a milioni di persone di poter contare su una pensione dignitosa senza doversene occupare di persona. Tuttavia, mai come oggi lo Stato si trova ad affrontare sfide cruciali per la tenuta di questo sistema, che per tanti anni ha rappresentato un’ancora di sicurezza per i cittadini.

Un tempo il sistema pensionistico pubblico era basato sul meccanismo detto “a cassaforte piena”, ovvero i contributi cumulati dal lavoratore durante la sua vita lavorativa venivano materialmente accantonati, per poi fungere da serbatoio al quale attingere per garantire la rendita pensionistica, una volta superata l’età minima per poterne godere. Un meccanismo che da una parte immobilizzava una grande quantità di risorse, e dall’altra rischiava di vedere la rivalutazione del capitale pesantemente inficiata dall’inflazione.

Un tesoretto al quale lo Stato attinse in più occasioni per motivazioni ben diverse dall’esigenza previdenziale. Si passò quindi al sistema a “cassaforte vuota”, nel quale le pensioni non sono più prese dai contributi accumulati dal lavoratore. Si utilizzano invece i contributi versati da chi lavora per pagare direttamente le pensioni, senza alcun accumulo. Un sistema basato sul cosiddetto patto generazionale, ovvero la consapevolezza di pagare le pensioni agli anziani di oggi sulla base della promessa che chi verrà dopo farà altrettanto.

Dal sistema retributivo a quello contributivo

Il primo sistema di questo tipo è stato quello retributivo, nel quale l’importo della pensione veniva calcolato sulla base delle ultime retribuzioni, a prescindere da quelle precedenti e quindi dai contributi effettivamente versati in precedenza. Questa modalità di calcolo ha potuto essere applicata fintanto che le persone in età da lavoro erano in numero molto superiore rispetto a quello dei pensionati, ed è stato il caso dell’Italia dal dopoguerra fino alla situazione attuale.

Tuttavia, è evidente che questo metodo non è sostenibile, in quanto assegna pensioni ben più ricche di quanto il pensionato abbia effettivamente contribuito al sistema. Senza contare l’ampio uso a fini elettorali delle cosiddette baby pensioni, ovvero la prestazione previdenziale pubblica erogata a favore di persone con pochissimi anni di contributi.

Considerando che dal punto di vista legislativo la pensione è un diritto acquisito, essa non è modificabile e pertanto gli impegni accumulati dallo Stato a causa del sistema retributivo rappresentano tuttora un enorme fardello. Per rendere il sistema più sostenibile si è poi passati al sistema contributivo, nel quale l’importo della pensione è commisurato ai contributi realmente versati. Considerando gli impegni precedenti, tuttavia, questo si è tradotto nella definitiva rottura del patto generazionale: da una parte i retributivi, in pensione prima e con importi elevati; dall’altra i contributivi, che dopo aver pagato per una vita le più alte pensioni dei retributivi si troveranno con una prestazione più bassa.

Con il nuovo millennio e la crisi dei debiti sovrani degli anni Dieci, è stato necessario mettere nuovamente mano al sistema previdenziale pubblico, legandolo non più solo all’importo dei contributi versati, ma anche all’aspettativa di vita nel determinare la data di pensionamento: la cosiddetta riforma Fornero.

Il sistema è comunque destinato a future ulteriori modifiche. Il metodo a “cassaforte chiusa”, infatti, di certo non risente dell’inflazione come il precedente, ma è esposto a un rischio esistenziale che si sta già manifestando: quello demografico.

Il rischio demografico

L’Italia è un Paese con un’età media molto elevata, dove il ricambio generazionale è inceppato e la piramide demografica si sta invertendo rapidamente, tanto che la data nella quale ci sarà un rapporto 1:1 tra lavoratori e pensionati si avvicina sempre di più. Questo fenomeno mette pressione sul sistema pensionistico, poiché ci sono meno contribuenti per sostenere gli attuali e futuri pensionati. L’aumento dell’aspettativa di vita aggrava questa situazione, in quanto le persone vivono più a lungo e, di conseguenza, ricevono la pensione per un periodo più esteso.

Secondo le stime abbiamo già superato il punto di non ritorno: anche se da oggi si cominciassero a fare improvvisamente molti più figli, questi ultimi non farebbero in tempo a entrare nel mondo del lavoro in tempo. In questo senso, l’apporto esterno di nuovi contribuenti sarà cruciale per garantire la sostenibilità futura del sistema pensionistico pubblico.

Come tutelarsi con i fondi pensione

Dove il pubblico non arriva esistono comunque alternative in ambito privato, con le quali costruirsi in maniera autonoma una rendita che possa andare a integrare la pensione pubblica. Per gli aspetti principali, le varie forme di investimento previdenziale sono simili: hanno tutte sottostanti dei fondi d’investimento (fondi comuni o etf) e delle gestioni separate, e tutte sono ad accumulazione, pertanto la pensione integrativa verrà calcolata sui contributi accumulati dal lavoratore nel corso del tempo rivalutati dei rendimenti realizzati (con la possibilità di aggiungere al montante anche il TFR).

Lo Stato ha la consapevolezza di questo problema, pertanto ha messo in campo diverse agevolazioni per incentivare la sottoscrizione dei piani pensionistici privati da parte dei cittadini. Vediamo le più importanti:

  • I contributi versati nei fondi pensione privati sono subito deducibili dai redditi e quindi esentati dal calcolo delle tasse,fino a un importo massimo annuale di 5.164,57 euro. Coloro che non potessero portarli in deduzione dai redditi (ad esempio, i lavoratori in regime forfettario) o  coloro che versassero più di €.5.164,57 annui, possono comunque recuperare questo vantaggio fiscale alla fine del periodo di accumulo. Tutti i versamenti non dedotti devono essere comunicati al fondo annualmente e all’atto della consegna della prestazione finale (sia in forma di capitale che di rendita), non sono assoggettati a tassazione.
  • Al pensionamento sul montante o rendita ottenuti vi è una tassazione agevolata al 15%. Dopo il 15°anno di permanenza nel fondo pensione viene applicata una riduzione della tassazione di uno 0,30% per ogni anno, fino a portare la tassazione ad un minimo del 9% annuo.
  • I rendimenti derivanti dalla gestione finanziaria dei fondi pensioni sono assoggettati ad un’aliquota di tassazione ridotta dal 26% al 20%, mentre rimane invariata l’aliquota al 12,50% su rendimenti derivanti da titoli di stato.
  • Per gli aderenti a fondi pensione legati alla propria categoria lavorativa è stato istituito il diritto di ottenere un contributo dal datore di lavoro, a patto che anch’essi versino nel fondo pensione il TFR e una quota del proprio stipendio.
    L’entità del contributo del datore di lavoro e dei dipendenti è indicata nei contratti collettivi nazionali di ogni categoria lavorativa.
  • Per gli aderenti di prima occupazione, qualora nei primi 5 anni di  permanenza nel fondo pensione non riuscissero a versare fino a €.5.164,57 all’anno, hanno la possibilità di recuperare il plafond non versato negli anni che vanno dal 6° al 20°.

Esistono comunque differenze sostanziali tra le varie forme di previdenza privata:

  • Fondi preesistenti: sono forme pensionistiche complementari che risultavano già in essere alla data del 15 novembre 1992, cioè prima che venisse disciplinato in modo organico il sistema della previdenza complementare. Questa tipologia di fondo pensione raggruppa forme di previdenza complementare di varia tipologia a carattere collettivo, destinate a specifici ambiti di lavoratori.
  • Fondi pensione chiusi (o negoziali): questi fondi sono riservati solo ad alcune categorie di lavoratori e istituiti da accordi o contratti collettivi di lavoro. Essendo organizzazioni senza scopo di lucro, presentano un ISC (Indicatore Sintetico dei Costi) medio per 10 anni di contribuzione pari allo 0,47%, secondo i dati del Covip (Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione) relativi al 2022.
  • Fondi pensione aperti: questi fondi sono accessibili a tutti, indipendentemente dalla categoria lavorativa di appartenenza. Sono istituiti presso banche, imprese assicurative, società di gestione del risparmio (SGR) e società di intermediazione mobiliare (SIM). L’ISC medio dei fondi aperti, calcolato sul medesimo orizzonte temporale, si attesta all’1,35%.
  • Piani individuali pensionistici (PIP): questi piani possono essere istituiti esclusivamente da imprese assicurative. Pur essendo nella forma dei contratti di assicurazione sulla vita, i PIP sono a tutti gli effetti dei fondi pensione. L’ISC medio dei PIP a 10 anni si attesta al 2,17%.

Tutte queste categorie di fondi pensioni sono vigilate da COVIP – Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione e offrono al lavoratore le medesime tutele.

Come scegliere il fondo pensione?

Nella scelta del fondo pensione è importante prendere in considerazione principalmente due aspetti:

  • i costi del fondo pensione sono di varia natura e possono essere difficili da percepire per il risparmiatore: costi di ingresso e uscita, di gestione, di performance, di switch, di garanzia. L’insieme di tutti questi costi viene sintetizzato in una misura percentuale, rappresentata dall’indicatore ISC (indicatore sintetico di costo), riportato nel materiale informativo del fondo. I costi vanno a erodere il rendimento del fondo stesso e, nel lunghissimo periodo che caratterizza di solito questo tipo di investimento, anche piccole differenze dell’ISC possono avere un considerevole impatto sulla prestazione previdenziale finale, che si tramutano in migliaia di euro in meno per l’aderente.
  • il tempo mancante al pensionamento, per poter scegliere la linea di investimento più congrua alla propria situazione.

La scelta del fondo pensione è un momento importante e di lunghissimo periodo, da fare considerando molte variabili tra le quali, come detto, gli anni mancanti alla pensione, il reddito, il regime lavorativo (dipendente o autonomo). Per questo motivo è consigliabile avvalersi di un consulente, per non incappare in scelte fortemente penalizzanti per il proprio futuro.

Cosa accade alla fine del periodo di accumulo?

Quando arriva il momento del riscatto del fondo pensione il denaro accumulato tramite il versamento dei contributi viene restituito insieme ai rendimenti, al netto delle tasse.
Il riscatto può avvenire in diverse modalità: tramite una rendita periodica vitalizia o, in alcuni casi specifici, sotto forma di capitale, o come mix di rendita e capitale.

È stata prevista anche la possibilità, dopo 5 anni di permanenza nel fondo pensione e nel rispetto di determinati requisiti lavorativi, di  poter richiedere l’erogazione di una rendita temporanea (Rita), facendosi quindi anticipare parte di quanto accumulato prima del pensionamento.

Esiste comunque la possibilità di prelevare una parte di quanto versato prima del pensionamento, a patto di rispettare determinate condizioni.
Il fondo pensione infatti è uno strumento ideato per poter garantire una rendita integrativa alla pensione pubblica e quindi scoraggia i prelievi anticipati.


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